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      Ci voglion bene coloro che pregano sempre, per coloro che non pregano mai.
      Per noi, tutta la questione sta nella quantità di pensiero che si unisce alla preghiera. Leibnitz che prega, è una cosa grande; Voltaire che adora, è una cosa bella. Deo erexit Voltair.
      Noi siamo per la religione, contro le religioni. Siamo di quelli che credono alla meschinità delle orazioni e alla sublimità della preghiera.
      Del resto, nel momento che stiamo attraversando, che non lascerà, per fortuna, la sua impronta al secolo decimonono, in quest'ora in cui tanti uomini hanno la fronte bassa e l'anima pochissimo alta, in mezzo a tanti esseri viventi che hanno per morale il godimento, e che s'occupano delle cose piccole e deformi della materia, chiunque s'esilî ci sembra venerabile. Il monastero è una rinuncia e il sacrificio che conduce all'errore è sempre un sacrificio. Prendere per dovere un severo errore, è una cosa che non manca di grandezza.
      Preso in sé, idealmente e per girare intorno alla verità fino all'imparziale esaurimento di tutti i suoi aspetti, il monastero, e in special modo il convento di donne (poiché nella nostra società è la donna che soffre di più e in quell'esilio del chiostro v'è una specie di protesta) ha incontestabilmente una certa maestà.
      Quell'esistenza claustrale così austera e cupa, della quale abbiamo or ora disegnato qualche tratto, non è la vita, poiché non è la libertà; non è la tomba, poiché non è un compimento. È un luogo strano, dal quale si scorge, come dalla cresta d'un alto monte, da una parte l'abisso in cui siamo e, dall'altra, quello in cui saremo; è una frontiera stretta e nebbiosa, che separa due mondi, illuminata e resa scura ad un tempo da entrambi, dove l'indebolito raggio della vita si congiunge all'incerto raggio della morte; è la penombra della morte.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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