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      «Unicamente per lasciar entrare i beccamorti che vengon a prendere la bara. Uscita la bara, la porta si richiude.»
      «Chi inchioda la bara?»
      «Io.»
      «E chi vi mette sopra il lenzuolo?»
      «Io.»
      «Siete solo?»
      «Nessun uomo, all'infuori del medico della polizia, può entrare nella sala delle morte. È perfino scritto sul muro.»
      «Non potreste stanotte, quando tutto dormirà nel convento, nascondermi in quella sala?»
      «No; ma posso nascondervi in uno sgabuzzino scuro che dà nella sala delle defunte, nel quale metto gli utensili per la sepoltura e di cui ho la custodia e la chiave.»
      «A che ora verrà il carro funebre, domani, a prender la bara?»
      «Verso le tre del pomeriggio. La sepoltura si fa al cimitero Vaugirard, un po' prima di notte, e c'è un bel pezzo di strada.»
      «Resterò nascosto nel vostro ripostiglio tutta la notte e tutta la mattina. E per mangiare? Perché avrò fame.»
      «Vi porterò quel che occorre.»
      «Potreste venire a inchiodarmi nella bara alle due.»
      Fauchelevent indietreggiò e fece crocchiare le ossa delle dita.
      «Ma è impossibile!»
      «E via! Per prendere un martello e piantar chiodi in una tavola!»
      Ciò che pareva inaudito a Fauchelevent era, lo ripetiamo, semplice per Valjean. Egli s'era trovato in peggiori circostanze. Chiunque sia stato prigioniero conosce l'arte d'impicciolirsi secondo il diametro dell'evasione; il prigioniero è soggetto alla fuga, come il malato lo è alla crisi che lo salva o lo perde. Un'evasione è una guarigione; e che cosa non s'accetta, per guarire? Farsi inchiodare e portar via in una cassa come un collo di mercanzia, vivere a lungo in una scatola, trovar aria dove non ve n'è, economizzare il fiato per ore intere e saper soffocare, senza morire, era per l'appunto una delle sinistre abilità di Jean Valjean.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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