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      Andava e veniva, cantava, giocava a piastrelle, razzolava nei fossati, rubava un pochino, ma come i gatti ed i passeri, allegramente, rideva quando lo chiamavano birba e andava in collera quando lo chiamavano furfantello. Non aveva ricovero, né pane, né fuoco; ma era giocondo perché era libero.
      Quando questi poveri esseri sono uomini, quasi sempre la macina dell'ordine sociale li scontra e li stritola; ma fin che sono fanciulli, la loro piccolezza li lascia sfuggire. Il minimo buco li salva.
      Pure, per abbandonato che fosse quel bimbo, capitava talvolta, ogni due o tre mesi, ch'egli dicesse: «To'! Vado a vedere la mamma.» Ed allora lasciava i boulevards esterni, il Circo e porta San Martino, scendeva verso il lungo Senna, passava i ponti, giungeva ai sobborghi, sorpassava la Salpêtrière e arrivava, dove? Per l'appunto a quel doppio numero 50-52 che il lettore conosce, alla catapecchia Gorbeau.
      A quel tempo, la catapecchia 50-52, di solito deserta ed eternamente ornata dalla scritta «S'affittano camere» si trovava, cosa rara, abita da parecchi individui che del resto, come accade sempre a Parigi, non avevano alcun legame od alcun rapporto fra loro. Tutti appartenevano a quella classe indigente che incomincia dall'ultimo borghesuccio dissestato e si prolunga di miseria in miseria dentro i bassifondi della società, fino a quei due esseri ai quali vengono a far capo tutte le cose materiali della civiltà, lo spazzino che scopa via il fango e il cenciaiolo che raccoglie gli stracci.
      La «principale inquilina» del tempo di Jean Valjean era morta ed era stata sostituita da un'altra simile.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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