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      Quel fratello, di cui è rimasta pochissima memoria, era un pacifico avaro, il quale, essendo prete, si credeva in obbligo di far l'elemosina ai poveri che incontrava, ma non dava loro mai altro che monete sformate e soldi fuori corso, trovando così il modo d'andare all'inferno per la strada del paradiso. Quanto al maggiore dei Gillenormand, egli non mercanteggiava l'elemosina, dava volentieri e nobilmente. Era benevolo, brusco e caritatevole e, se fosse stato ricco, sarebbe stato incline alla magnificenza; voleva che tutto quel che lo riguardava fosse fatto con grandezza, anche le birbonate. Un giorno, in una successione, nella quale era stato svaligiato da un uomo d'affari in maniera grossolana e visibile, uscì in questa solenne esclamazione: «Puah! che rozzo modo di fare! ho davvero vergogna di queste ruberie. Tutto è degenerato in questo secolo, perfino i bricconi. Perdìo! Non è così che si deve derubare un par mio: sono derubato come in un bosco, ma derubato male. Silvae sin consule dignae!» Come abbiam detto, aveva avuto due mogli; dalla prima gli era nata una figlia, rimasta zitella, e, dalla seconda, un'altra figlia, morta verso l'età di trenta anni, la quale aveva sposato per amore o per caso o per altro un soldato di ventura che aveva servito negli eserciti della repubblica e dell'impero, aveva avuto la croce ad Austerlitz e fatto colonnello a Waterloo. È la vergogna della mia famiglia, diceva il vecchio borghese. Tabaccava assai ed aveva una grazia particolare nel rimettere in sesto con un colpetto della mano la gala di merletto che gli usciva dallo sparato.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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