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      V'erano similmente a Roma dei soldati cartaginesi prigionieri, che ricusavano di salutare Flaminio ed avevano alcunché dell'anima d'Annibale.
      Una mattina, incontrò il procuratore del re in una via di Vernon; lo avvicinò e gli chiese: «Signor procuratore del re, mi viene permesso di portare la mia cicatrice?»
      Non possedeva nulla, all'infuori della meschina mezza paga di comandante di squadrone. Aveva presa in affitto a Vernon la più piccola casa che aveva potuto trovare e ci viveva solo, si è visto or ora in qual modo. Sotto l'impero, fra due guerre, aveva trovato il tempo di sposare la signorina Gillenormand; il vecchio borghese, in fondo in fondo indignato, aveva acconsentito con un sospiro, dicendo: Le maggiori famiglie vi sono forzate. Nel 1815 la signora Pontmercy, donna ammirevole sotto tutti i punti di vista, del resto, elevata e rara, degna del marito, era morta, lasciando un figlio. Quel figlio sarebbe stato la gioia del colonnello nella sua solitudine, ma l'avo aveva imperiosamente reclamato il nipote, dichiarando che, se non gli fosse stato affidato, l'avrebbe diseredato. Il padre aveva ceduto, nell'interesse del piccino e, non potendo aver suo figlio, s'era messo ad amare i fiori.
      Del resto, aveva rinunciato a tutto: non s'agitava e non cospirava. Ripartiva il suo pensiero fra le cose innocenti che stava facendo e le grandi che aveva fatto; passava il tempo a sperare un garofano ed a ricordarsi d'Austerlitz.
      Gillenormand non aveva alcuna relazione col genero. Il colonnello, per lui, era «un bandito» ed egli era per il colonnello «un balordo»; Gillenormand non parlava mai del colonnello, se non talvolta, per fare allusioni motteggiatrici alla sua «baronìa». Era stato chiaramente convenuto che Pontmercy non avrebbe mai cercato di veder suo figlio né di parlargli, pena vederselo reso, scacciato e diseredato.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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