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      Dichiarava che l'avvenire è nelle mani del maestro di scuola e si preoccupava delle questioni dell'educazione; voleva che la società lavorasse senza tregua all'elevazione del livello intellettuale e morale, alla divulgazione della scienza, a mettere in circolazione idee, alla crescita della mente nella gioventù e temeva che l'attuale povertà dei metodi, la meschinità letteraria limitata a due o tre secoli, detti classici, il dogmatismo tirannico di pedanti ufficiali, i pregiudizi scolastici e le consuetudini non finissero per fare dei nostri collegi una ostricaia artificiale. Era dotto, purista, preciso, politecnico, lavoratore manuale e nello stesso tempo pensoso «fino alla chimera», come dicevano i suoi amici. Credeva a tutti quei sogni che si chiamavano la ferrovia, la soppressione del dolore nelle operazioni chirurgiche, la durevole impressione dell'immagine della camera oscura, il telegrafo elettrico, i dirigibili; del resto, si sgomentava pochissimo delle fortezze erette dappertutto, contro il genere umano, dalle superstizioni, dai dispotismi e dai pregiudizi, poiché era di coloro che pensano che la scienza finirà per girare alle spalle quelle posizioni. Se Enjolras era un capo, Combeferre era una guida; si sarebbe voluto combattere con l'uno e camminare coll'altro. Non già che Combeferre non fosse capace di combattere, non ricusava di prendere di petto l'ostacolo e d'assalirlo a viva forza o per esplosione; ma mettere a poco a poco, coll'inseguimento degli assiomi e col promulgare leggi positive, il genere umano d'accordo coi suoi destini, era per lui preferibile e, fra due luci, inclinava più verso l'illuminazione che verso il braciere.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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