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      «Mi tiene il broncio con una pazienza crudele.»
      «Eppure sei un innamorato d'una magrezza commovente.»
      «Ahimè!»
      «Al tuo posto, la pianterei.»
      «Si fa presto a dirlo.»
      «E a farlo. Non si chiama Musichetta
      «Sì. O mio povero Bahorel, è una ragazza magnifica, molto letterata, con certi piedini e certe manine, ben vestita, bianca e paffuta, due occhi da cartomante. Ne vado pazzo.»
      «E allora, mio caro, bisogna piacerle, essere elegante e far colpo. Comperati da Staub un paio di calzoni di lana ritorta, sono attraenti.»
      Il terzo angolo era in preda a una discussione poetica; la mitologia pagana faceva a pugni colla mitologia cristiana. Si trattava dell'Olimpo, del quale Jean Prouvaire, proprio per romanticismo, prendeva le parti. Prouvaire era timido solo in riposo; una volta eccitato, s'accendeva; una specie d'allegria dava risalto al suo entusiasmo ed era contemporaneamente ridente e lirico:
      «Non insultiamo gli dèi,» diceva. «Forse, gli dèi non se ne sono andati: Giove non mi fa per nulla l'effetto d'un morto. Gli dèi sono sogni, voi dite: ebbene, anche in natura, così com'è oggidì, dopo la fuga di quei sogni si trovan tutti i grandi vecchi miti pagani. Una montagna dal profilo di cittadella, per esempio la Vignemale, è ancora per me l'acconciatura di Cibele; non è affatto dimostrato che Pan non venga, di notte, a soffiare nel tronco vuoto dei salici, turandone l'un dopo l'altro i buchi colle dita ed ho sempre creduto che Io entrasse per qualche cosa nella cascata di Pisciavacca
      Nell'ultimo angolo, si discorreva di politica e vi si malmenava la Carta concessa.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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