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      Qui Jondrette, evidentemente credette giunto il momento d'impadronirsi del «filantropo», poiché esclamò con un suono di voce che aveva la vanità tronfia del giocoliere da fiera e l'umiltà del mendicante da strada: «Allievo di Talma! signore! Sono allievo di Talma! Un tempo, la fortuna m'ha sorriso, ora, ahimé! è la volta della disgrazia. Vedete, mio benefattore? Né pane né fuoco: le mie povere piccole non hanno fuoco! La mia unica sedia spagliata, un vetro rotto! Col tempo che fa! E la mia consorte in letto, ammalata!»
      «Povera donna!» disse il signor Leblanc.
      «E mia figlia ferita!» soggiunse Jondrette.
      La fanciulla distratta dall'arrivo degli estranei, s'era messa a contemplare «la signorina», cessando di singhiozzare.
      «Piangi dunque! Strilla, dunque!» le disse sottovoce Jondrette, ché nello stesso tempo le pizzicò la mano malata, tutto con abilità da prestigiatore.
      La piccola gettò alte grida.
      L'adorabile giovinetta che Mario chiamava nel suo cuore «la sua Ursula» s'avvicinò premurosa:
      «Povera cara piccina!» disse.
      «Guardate il suo polso insanguinato, mia bella signorina!» proseguì Jondrette. «È una disgrazia che le è capitata lavorando ad una macchina, per guadagnare sei soldi al giorno. Forse, si sarà costretti a farle tagliare il braccio.»
      «Davvero?» chiese il vecchio signore, allarmato, mentre la fanciulla, prendendo quelle parole sul serio, si metteva a singhiozzare forte.
      «Ahimè, sì, mio benefattore!» rispose il padre.
      Da qualche momento, Jondrette andava osservando «il filantropo» in un modo bizzarro.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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