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      L'ispettore rispose:
      «D'altronde non è ancor giunta la loro ora.»
      Ricadde nel silenzio, poi riprese:
      «50-52. Conosco la baracca: impossibile nascondersi nell'interno, senza che gli artisti se ne accorgano; e in tal caso essi si riterrebbero liberi di rimandare lo spettacolo. Sono così modesti! Il pubblico li imbarazza. Niente, niente! Voglio sentirli cantare e ballare.»
      Finito quel monologo, si volse verso Mario e gli chiese, guardandolo fisso:
      «Avreste paura?»
      «Di chi?» fece Mario.
      «Di quegli uomini.»
      «Non più di quanta ne abbia di voi,» ribattè aspramente Mario, che incominciava a notare come quel birro non gli avesse ancor detto signore.
      L'ispettore guardò Mario ancor più fisso e riprese, con una specie di solennità sentenziosa:
      «Avete parlato come un uomo coraggioso e come un uomo onesto. Il coraggio non teme il delitto, e l'onestà non teme la autorità.»
      Mario l'interruppe:
      «Sta bene; ma che cosa contate di fare?»
      L'ispettore si limitò a rispondergli:
      «Gli inquilini di quella casa hanno la chiave, per rincasare di notte. Voi dovreste averne una.»
      «Sì,» disse Mario.
      «L'avete con voi?»
      «Sì.»
      «Datemela,» disse l'ispettore.
      Mario levò la chiave dal panciotto e la consegnò all'ispettore, aggiungendo:
      «Se mi volete dar retta, venite con un buon nerbo di forza.»
      L'ispettore gettò a Mario l'occhiata di Voltaire ad un accademico provinciale, che gli avesse proposto una rima; poi tuffò con un sol gesto ambo le mani, enormi, nelle due immense tasche del pastrano e ne levò due piccole pistole d'acciaio, di quelle chiamate pugni; le presentò a Mario e disse vivacemente e in tono breve:


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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