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      «Miserabili,» egli disse, «non abbiate più paura di me di quanto io non ne abbia di voi!»
      E, strappando lo scalpello dalla piaga, lo gettò fuori della finestra, che era rimasta aperta. L'orribile utensile ardente scomparve volteggiando nell'oscurità e andò a cader lontano e a spegnersi nella neve.
      Il prigioniero riprese:
      «Fate di me quello che volete.»
      Era disarmato.
      «Afferratelo!» disse Thénardier.
      Due dei briganti gli posero una mano sulla spalla, mentre l'uomo mascherato, dalla voce di ventriloquo, gli stava di fronte, pronto a spaccargli il cranio con un colpo di chiave, al minimo movimento. Nello stesso tempo Mario sentì sotto di sé, in basso della parete, ma tanto vicino da non poter vedere coloro che parlavano, questo colloquio scambiato sottovoce:
      «V'è una sola cosa da fare.»
      «Squartarlo!»
      «Proprio.»
      Mario stringeva l'impugnatura della pistola. Quale incredibile perplessità! Da un'ora a quella parte v'erano nella sua coscienza due voci, una gli diceva di rispettare il testamento di suo padre, l'altra gli gridava di soccorrere il prigioniero; entrambe continuavano senza interruzione la loro lotta, che lo angosciava. Aveva vagamente sperato, fino a quel momento, di trovare un mezzo di conciliare quei due doveri; ma non ne era scaturito nessuno. Intanto il pericolo si faceva urgente, l'ultimo limite dell'attesa era trascorso e, a pochi passi dal prigioniero, Thénardier stava pensando, col coltello in pugno.
      Mario, smarrito, girava intorno lo sguardo, ultimo espediente macchinale della disperazione.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





Thénardier Mario Thénardier