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      Selvagge: spieghiamoci su questa parola. Che cosa volevano quegli uomini irsuti che, nei giorni genesiaci del caos rivoluzionario, cenciosi, urlanti e feroci, colla clava alzata e la picca sollevata, si scagliavano sulla vecchia Parigi sconvolta? Volevano la fine delle oppressioni, la fine delle tirannie, la fine del gladio, lavoro per l'uomo, istruzione per il fanciullo, una società mite per la donna, la libertà, l'uguaglianza e la fratellanza, il pane per tutti, l'idea per tutti, il mondo un eden, il Progresso; e codesta cosa santa, buona e dolce, il progresso, spinto all'estremo, fuori di sé, essi la reclamavano in modo terribile, seminudi, colla mazza in pugno e il ruggito sulle labbra. Erano selvaggi, sì; ma selvaggi della civiltà.
      Proclamavano con furia il diritto e volevano magari col terremoto e lo spavento, costringere il genere umano al paradiso; sembravan barbari ed erano salvatori. Reclamavano la luce colla maschera delle tenebre.
      Di fronte a quegli uomini, selvaggi, conveniamone, e spaventosi, ma selvaggi e spaventosi per il bene, vi sono altri uomini, sorridenti, ricamati, dorati, pieni di nastri, costellati, in calze di seta e piume bianche, in guanti gialli e scarpe di vernice, i quali, coi gomiti appoggiati a una tavola di velluto, accanto a un camino di marmo, insistono dolcemente per il mantenimento e per la conservazione del passato, del medioevo, del diritto divino, del fanatismo, dell'ignoranza, della schiavitù, della pena di morte e della guerra, glorificando a bassa voce e con gentilezza la sciabola, il rogo e il patibolo.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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