A quell'epoca, Mabeuf era vicinissimo all'ottantina.
      Una sera, ebbe una singolare apparizione.
      Era rincasato ch'era ancor giorno chiaro. Mamma Plutarco, la salute della quale andava guastandosi, era a letto, ammalata; egli aveva cenato con un osso, intorno al quale restava ancora un po' di carne, e un pezzo di pane, trovato sulla tavola di cucina. Poi s'era seduto sopra un paracarro rovesciato, che gli serviva da panca nel giardino.
      Vicino a quella panca s'ergeva, alla moda dei giardini frutteti d'un tempo, una specie di casotto di travi e tavole molto cadente, ch'era conigliera a pian terreno e deposito di frutta al primo piano. Nella conigliera non v'eran più conigli; ma v'erano ancora poche mele nel deposito, avanzo della provvista invernale.
      Mabouf s'era messo a sfogliare ed a leggere, coll'aiuto degli occhiali, due libri che l'appassionavano e perfino, cosa grave alla sua età, lo preoccupavano. La sua naturale timidità lo faceva proclive ad una certa accettazione delle superstizioni; ora, il primo di quei due libri era il famoso trattato del presidente Delancre, Dell'incostanza dei demonî, e l'altro l'in-quarto di Mutor della Rubaudière, Sui diavoli di Vauvert e i folletti della Bièvre. Quest'ultimo volume l'interessava tanto più, in quanto il suo giardino era stato uno dei territori anticamente frequentato dai folletti. Il crepuscolo incominciava ad imbiancare ciò ch'è alto e ad annerire ciò ch'è basso; pur leggendo, papà Mabeuf osservava al disopra del libro che teneva in mano le sue piante e fra le altre un magnifico rododendro, ch'era una delle sue consolazioni; quattro giorni di calura, di vento e di sole, senza una sola goccia d'acqua eran appena trascorsi; gli steli si curvavano, i bocciuoli piegavano e le foglie cadevano.