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      Cosette ricordava solo confusamente la propria infanzia. Pregava mattina e sera per sua madre, che non aveva conosciuta. I Thénardier eran rimasti nella sua memoria come due luride figure di un sogno; si ricordava d'esser stata «un giorno, di notte» ad attinger acqua in un bosco, ma credeva che questo fosse accaduto molto lontano da Parigi. Le pareva d'aver incominciato a vivere in un abisso dal quale era stata tratta da Jean Valjean, e la sua infanzia le faceva l'effetto d'un tempo in cui non avesse avuto intorno a sé altro che millepiedi, ragni e serpenti. Quando di sera, prima d'addormentarsi, pensava, siccome non aveva un'idea molto chiara d'esser figlia di Jean Valjean e ch'egli fosse suo padre, immaginava che l'anima della madre fosse passata in quel buon vecchio e venuta a starle vicino.
      Quand'egli stava seduto, ella appoggiava la guancia sui suoi capelli bianchi e vi lasciava silenziosamente cadere una lagrima, dicendo fra sé: «Forse, quest'uomo è mia madre!»
      Cosette, strano a dirsi, nella sua profonda ignoranza di fanciulla allevata in convento e per il fatto che, d'altronde, la maternità è assolutamente inintelligibile alla verginità, aveva finito per figurarsi d'aver avuto la minor quantità possibile di madre; e di quella madre non sapeva neppure il nome. Tutte le volte che le capitava di chiederlo a Jean Valjean, questi taceva e, s'ella ripeteva la sua domanda, egli rispondeva con un sorriso; una volta insistette, e il sorriso finì con una lagrima.
      Quel silenzio di Valjean copriva di tenebre Fantine.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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