Come adorava quell'eden chiuso per sempre, dal quale era volontariamente uscito e pazzamente sceso! Come deplorava la sua abnegazione e follia d'aver ricondotto Cosette nel mondo, povero eroe del sacrificio, preso e atterrato dal sacrificio stesso! Si diceva: «Che ho mai fatto?»
      Del resto, nulla di tutto ciò egli lasciava trapelare a Cosette. Niente cattivo umore, né asprezza; sempre la stessa faccia serena e buona. I modi di Jean Valjean eran più che mai paterni; sola cosa che avrebbe potuto lasciar indovinare la diminuita allegrezza era l'aumentata mansuetudine.
      Da parte sua Cosette languiva. Soffriva dell'assenza di Mario allo stesso modo che aveva goduto della presenza di lui, singolarmente, senza sapere esattamente il perché. Quando Valjean aveva cessato di condurla alle passeggiate consuete, il suo istinto di donna le aveva mormorato in modo confuso, in fondo al cuore, che non bisognava facesse vedere di tener troppo al Lussemburgo e che, se la cosa le fosse stata indifferente, suo padre l'avrebbe ricondotta là; ma giorni, settimane e mesi si succedettero invano. Valjean aveva tacitamente accettato il consenso di Cosette; e quando ella lo rimpianse, era troppo tardi. Il giorno in cui tornò al Lussemburgo, Mario non v'era più: dunque, era sparito. Era finita: che farci? Lo avrebbe mai ritrovato? Sentì uno stringimento al cuore, che nulla più dilatava e che andava crescendo di giorno in giorno; non seppe più se fosse inverno o estate, sereno o pioggia, se gli uccelli cantassero, se fosse la stagione delle dalie oppure delle margherite, se il Lussemburgo fosse più bello delle Tuileries, se la biancheria che la lavandaia riportava fosse troppo inamidata e se Toussaints avesse fatto bene o male le compere; rimase accasciata, assorta, attenta ad un solo pensiero, l'occhio vago e fisso, come quando si guarda nell'oscurità il luogo nero e profondo in cui è svanita un'apparizione.