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      Era per l'appunto l'istante in cui Mario agonizzava gravemente dicendosi: «Se potessi solo rivederla, prima di morire!» Se il suo desiderio fosse stato esaudito e avesse visto in quel momento Cosette che guardava un lanciere, senza pronunciar parola, sarebbe spirato dal dolore.
      E di chi la colpa? Di nessuno. Mario era di quei temperamenti che sprofondano nell'afflizione e vi rimangono; Cosette era di coloro che vi si tuffano e ne escono.
      Cosette, del resto, attraversava quel momento doloroso, fase fatale della meditazione femminile abbandonata a se stessa, in cui il cuore d'una fanciulla assomiglia a quei viticci della vite che s'aggrappano, a caso, al capitello d'una colonna di marmo o ad un palo d'osteria; momento rapido e decisivo, critico per qualunque orfana, povera o ricca. Infatti, la ricchezza non dipende dalla cattiva scelta; anche in alto stato ci si può imparentar male. La vera e propria unione sbagliata è quella delle anime; e, a quella guisa che più d'un giovane ignoto, senza nome, senza illustre estrazione né fortuna è un capitello di marmo che sostiene un tempio di grandi sensi e grandi idee, così un altro in buona posizione, soddisfatto e ricco, con le scarpe come uno specchio e la parola adorna, quando si guardi, non l'esterno, ma l'interno, che è serbato alla donna, non è che uno stupido travicello, in cui albergano passioni violente, immonde e avvinazzate: un palo da osteria.
      Che c'era nell'anima di Cosette? La passione, calmata o addormentata; l'amore allo stato fluido; qualche cosa di limpido e scintillante, torbido a una certa profondità, scuro più in basso.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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