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      Non c'era nessuno.
      Aperse la finestra. Il giardino era assolutamente silenzioso e tutto quello che si scorgeva della via era deserto come sempre.
      Cosette pensò che s'era ingannata credendo di sentire un rumore. Era un'allucinazione, prodotta da quel cupo e prodigioso coro di Weber, che apre alla fantasia come una foresta vertiginosa e in cui si sente lo scricchiolare dei rami morti sotto il passo inquieto dei cacciatori intravisti nel crepuscolo.
      E non vi pensò più.
      Del resto, per sua natura, Cosette non era facile a sgomentarsi. V'era nelle sue vene sangue di zingara e d'avventuriera avvezza ad andar scalza e, come il lettore ricorderà, era piuttosto allodola che colomba; aveva un fondo selvatico e coraggioso.
      Il giorno dopo, meno tardi, sul cader della sera stava passeggiando in giardino. In mezzo ai pensieri confusi che la tenevano assorta, le parve sentire un rumore simile a quello della vigilia, come di qualcuno che camminasse nell'oscurità, sotto gli alberi, non molto lontano da lei; ma si disse che nulla assomiglia più ad un passo che cammini nell'erba, dello sfregamento di due rami che si agitino da soli, e non vi badò. Del resto, non vedeva nulla.
      Uscì dal «macchione». Le rimaneva ancor da attraversare un piccolo tappeto verde per raggiungere la scalinata; e la luna, che s'era levata allora dietro di lei, mentre Cosette usciva dal folto, l'ombra sua davanti a lei, su quel tappeto erboso.
      Cosette si fermò atterrita. A fianco della propria ombra, la luna profilava nettamente sulle zolle un'ombra singolarmente spaventosa e terribile, che portava un cappello a cilindro.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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