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      Con uno scialle da donna, di lana, raccolto chissà dove, del quale s'era fatto una sciarpa, pareva in ammirazione di una sposa di cera, scollata ed ornata di fiori d'arancio, che girava dietro il vetro, mostrando, fra due lampade a più becchi, il suo sorriso ai passanti; ma in realtà, stava osservando la bottega per vedere se non gli fosse possibile «sgraffignare» nella vetrina un pezzo di sapone, abbastanza pulitamente da rivendere poi per un soldo a un parrucchiere della periferia. Gli capitava spesso di cenare con uno di quei pezzi e chiamava questo genere di lavoro, per il quale aveva una spiccata tendenza, «far la barba ai barbieri».
      Mentre contemplava la sposa e sbirciava il pezzo di sapone, brontolava fra i denti: «Martedì. Non è martedì. E se fosse martedì? Forse è martedì. Sì, è martedì!»
      Non si è mai saputo a che cosa si riferisse quel monologo; ma se, per caso, si riferiva all'ultima volta ch'egli aveva mangiato, eran passati tre giorni da allora, poiché era venerdì.
      Il barbiere, nella bottega riscaldata da una buona stufa, stava radendo un cliente e di tanto in tanto gettava un'occhiata di sbieco a quel nemico, quel monello intirizzito e sfrontato, che aveva sì le mani in tasca, ma lo spirito pronto a scattare.
      Mentre Gavroche andava esaminando la sposa, la vetrina e i Windsorsoaps, due bimbi di statura differente vestiti e più piccoli di lui poiché dimostravano l'uno sette e l'altro cinque anni, girarono timidamente la maniglia della porta ed entrarono nella bottega, chiedendo non so che, forse la carità, con un lamentoso mormorìo, più simile a un gemito che ad una preghiera.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





Gavroche Windsorsoaps