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      «Signore,» fece timidamente il maggiore «non avete paura, dunque, degli agenti municipali?»
      Gavroche si limitò a rispondere:
      «Marmocchio, non si dice gli agenti municipali, si dice i cagnotti.»
      Il più piccolo spalancava gli occhi, ma non diceva niente. Siccome si trovava da un lato della stuoia, mentre il maggiore era in mezzo, Gavroche gli rimboccò la coperta come avrebbe fatto una madre e gli sollevò la stuoia sotto il capo con alcuni vecchi stracci, in modo da formare un guanciale al bimbo. Poi si volse verso il maggiore.
      «Si sta meravigliosamente bene, qui, nevvero?»
      «Oh, sì!» rispose il maggiore, guardando Gavroche con l'espressione di un angelo salvato.
      I due poveri fanciulli, tutti inzuppati, incominciavano a scaldarsi.
      «O bella!» continuò Gavroche. «E allora, perché piangevate?»
      E indicando il minore al fratello, soggiunse:
      «Un bamboccio come questo, pazienza; ma un grande come te, piangere, è cretino. Si ha l'aria d'un vitello.»
      «Diamine!» fece il fanciullo.«Non avevamo più un alloggio dove andare.»
      «Bamboccio,» riprese Gavroche «non si dice un alloggio, si dice una baracca.»
      «E poi, avevamo paura di trovarci così soli nella notte.»
      «Non si dice la notte, si dice la scura.»
      «Grazie, signore,» disse il bimbo.
      «Stammi a sentire,» ribatté Gavroche. «Non bisogna mai più piagnucolare per nulla. Avrò cura io di voi; e vedrai come ci si divertirà. D'estate, andremo alla Ghiacciaia con Navet, un mio compagno, faremo il bagno nella darsena e correremo completamente nudi sulle chiatte davanti al ponte d'Austerlitz.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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