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      Si vuole del tedesco? Ecco il caleur, il garzone, kellner; lo hers, il padrone, herzog (duca). Si vuole del latino? Ecco frangir, rompere, frangere; affurer, rubare, fur; cadène, catena, catena. V'è una parola che riappare in tutte le lingue del continente con una sorta di potenza e d'autorità misteriosa, ed è la parola magnus; la Scozia ne fa il suo mac, che indica il capo del clan, Mac Farlane, Mac Callumore, il grande Farlane, il grande Callumore; il gergo ne fa il meck e, più tardi, il meg, cioè Dio. Si vuole del basco? Ecco gahisto, il diavolo, che viene da gaiztoa, cattivo, sorgabon, buona notte, da gabon, buona sera. Si vuole del celtico? Ecco blavin, fazzoletto, che viene da blavet, acqua sorgente; ménesse, donna (in senso cattivo), che viene da meinec, pieno di pietre; barant, ruscello, da baranton, fontana; goffeur, magnano, da goff, fabbro; la guédouze, la morte, che viene da guenn-du, bianca e nera. Si vuole della storia, infine? Il gergo chiama gli scudi i maltesi, in ricordo della moneta che aveva corso sulle galere di Malta.
      Oltre le origini filologiche qui sopra indicate, il gergo ha altre radici ancor più naturali e che escono, per così dire, dalla mente stessa dell'uomo.
      In primo luogo, la creazione diretta della parola. In ciò risiede il mistero di tutte le lingue: dipingere con parole che hanno, non si sa come né perché, una figura. Tale è il fondo primitivo d'ogni linguaggio umano, quel che potrebbe esser chiamato il granito. Il gergo pullula di parole di questo genere, immediate, create tutte d'un pezzo non si sa dove né da chi, senza etimologie, senza analogie né derivanti; parole solitarie, barbare, talvolta sconce, con una singolare potenza d'espressione e che vivono: il boia, il taule; il bosco, il sabri; la paura, la fuga, taf; il valletto, il larbin; il generale, il prefetto, il ministro, pharos; il diavolo, il rabouin.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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