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      Egli indietreggiò, balbettando;
      «Chi è questa sgualdrina?»
      «Vostra figlia.»
      Era infatti Eponina, che parlava a Thénardier.
      All'apparizione d'Eponina, gli altri cinque, ossia Claquesous, Gueulemer, Babet, Montparnasse e Brujon s'erano accostati senza rumore, senza precipitazione, senza dire una parola, colla lentezza sinistra degli uomini della notte. Si scorgevan nelle loro mani orribili utensili; Gueulemer impugnava una di quelle pinze curve che i vagabondi chiamano Franceschina.
      «Che cosa fai qui, dunque? Cosa vuoi da noi? Sei matta?» esclamò Thénardier, per quanto si possa esclamare, parlando sottovoce. «Che ti viene in mente di venirci a impedire di lavorare?»
      Eponina si mise a ridere e gli saltò al collo.
      «Sono qui, paparino, perché sono qui. Non è dunque più permesso sedersi sulle pietre, adesso? Voi sì che non dovreste esser qui; che venite a farci, dal momento che è un biscotto? L'avevo detto alla Magnon che non c'è niente da fare, qui. Ma abbracciatemi, dunque, mio buon paparino! Quanto tempo che non vi vedo! Siete fuori, dunque?»
      Thénardier tentò di sciogliersi dalle braccia di Eponina e brontolò:
      «Va bene. M'hai abbracciato; non sono dentro, sono fuori. Ed ora, vattene.»
      Ma Eponina non lo lasciava andare e aumentava le sue carezze.
      «Ma come avete fatto, paparino? Bisogna che abbiate avuto una bella abilità per cavarvela di là. Raccontatemi la cosa! E la mamma? Dov'è la mamma? Datemi notizie della mamma!»
      Thénardier rispose:
      «Sta bene, non lo so. Lasciami stare: ti dico d'andartene.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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