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      Aveva un panciotto cremisi e di quelle espressioni che rompono tutto. Il suo panciotto sconvolse un passante, che gridò tutto smarrito:
      «Ecco i rossi!»
      «I rossi, i rossi!» ribattè Bahorel. «Che stupida paura, borghese! Per conto mio, io non tremo davanti a un papavero e il cappuccetto rosso non m'incute alcun timore. Credetemi, borghesi. lasciamo la paura del rosso alle bestie cornute.»
      In quella scorse un angolo di muro sul quale era affisso il più pacifico foglio di carta del mondo, ossia un permesso di mangiare uova, un'ordinanza quaresimale rivolta dall'arcivescovo di Parigi alle sue «pecorelle». Bahorel esclamò:
      «Pecorelle, maniera cortese di dire oche.»
      E strappò dal muro la pastorale. Ciò gli conquistò l'animo di Gavroche, che, da quel momento, si mise a studiare Bahorel.
      «Hai torto, Bahorel,» osservò Enjolras. «Avresti dovuto lasciar stare in pace quella pastorale; non è con essa che abbiamo da fare, e tu sprechi la collera inutilmente. Conserva la tua provvista: non si deve far fuoco fuori delle file, né col fucile né coll'anima.»
      «A ciascuno il suo genere, Enjolras,» ribattè Bahorel. «Questa prosa arcivescovile mi dà sui nervi; io voglio mangiare uova senza che me ne diano il permesso. Tu hai il genere freddo ardente; io mi diverto. Del resto, non sto consumandomi, ma solo, prendo lo slancio. E se ho lacerato quell'ordinanza, Hercle è per farmi venir appetito.»
      Quella parola, Hercle, colpì Gavroche. Egli andava in cerca di tutte le occasioni d'istruirsi e quel laceratore di manifesti godeva della sua stima; perciò gli chiese:


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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