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      Contemporaneamente, sul suo volto infantile, ad un tempo così sfrontato e serio, così sventato e profondo, così allegro e straziante, passavan tutte quelle smorfie da vecchio che significano: - Evvia! Non è possibile! Ho le traveggole, sogno! Sarebbe forse? No, non è lui... Ma sì! Ma no! - eccetera. Gavroche si dondolava sui talloni, stringeva i pugni dentro le tasche, agitava il collo come un uccello, consumava in una smorfia smisurata tutta la sagacità del labbro inferiore. Era stupefatto e incerto, incredulo, convinto e abbagliato; pareva il capo degli eunuchi che scoprisse al mercato delle schiave una Venere in mezzo a un gruppo di contadinotte, o un amatore che riconoscesse un Raffaello in un mucchio di tele imbrattate. Tutto in lui era al lavoro, l'istinto che annusa e l'intelligenza che combina; era evidente che a Gavroche stava per accadere qualcosa.
      Enjolras l'avvicinò per l'appunto nel momento culminante di quella preoccupazione.
      «Tu sei piccolo,» disse Enjolras «e non ti vedranno. Esci dalle barricate, cerca di sgattaiolare lungo le case e va' un po' dappertutto per le vie; torna poi a dirmi che cosa succede.»
      Gavroche si rizzò sulle anche.
      «I piccoli, dunque, sono buoni a qualche cosa! To', meno male! Vado: nell'attesa, fidatevi dei piccoli e diffidate dei grandi...» E Gavroche, alzando il capo e abbassando la voce, aggiunse, indicando l'uomo di via Billettes:
      «Vedete quell'omone lì?»
      «Ebbene?»
      «È una spia.»
      Ne sei sicuro?
      «Non più di quindici giorni fa mi ha levato per l'orecchio dal cornicione del ponte Royal, dove stavo a prendere il fresco.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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