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      «Allora, fatela finita con una coltellata.»
      «Spia,» disse il bell'Enjolras «noi siamo giudici, non assassini.»
      Poi chiamò Gavroche.
      «E tu, va' per i fatti tuoi. Fa' quel che t'ho detto.»
      «Vado,» gridò Gavroche.
      E, fermandosi nel momento di partire:
      «A proposito! Mi darete il suo fucile,» aggiunse: «Vi lascio il suonatore, ma voglio il clarinetto.»
      Il birichino fece il saluto militare e oltrepassò allegramente l'apertura della grande barricata.
      VIII • DIVERSI PUNTI INTERROGATIVI A PROPOSITO D'UN CERTO LE CABUC CHE, FORSE, NON SI CHIAMAVA LE CABUCLa tragica pittura che abbiamo iniziato non sarebbe completa e il lettore non scorgerebbe nel loro esatto e reale rilievo quei grandi minuti di puerperio sociale e di parto rivoluzionario, in cui la convulsione è mista allo sforzo, se omettessimo, nello schizzo qui abbozzato, un incidente pieno d'un orrore epico e selvaggio, sopraggiunto quasi subito dopo la partenza di Gavroche.
      Gli assembramenti, com'è noto, formano una valanga e agglomerano nel rotolare un mucchio d'uomini tumultuosi, che non si chiedono reciprocamente d'onde vengano. Fra i passanti che s'eran riuniti al gruppo condotto da Enjolras, Combeferre e Courfeyrac, v'era un tale che indossava il camiciotto da facchino, logoro sulle spalle, che gesticolava e vociferava e aveva l'aspetto d'una specie di selvatico ubriacone. Quell'uomo, chiamato o soprannominato Le Cabuc, perfettamente ignoto, del resto, anche a coloro che asserivan di conoscerlo, cotto dal vino, o che fingeva d'esserlo, s'era posto con pochi altri ad una tavola tratta fuori dalla bettola.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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