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      Fatto questo, col pretesto d'una emicrania persistente, Cosette aveva dato la buona sera a Jean Valjean e s'era chiusa nella sua stanza. Valjean aveva mangiato con appetito un'ala di pollo e, coi gomiti puntellati sul tavolo, rasserenato a poco a poco, andava riacquistando la propria sicurezza.
      Mentre stava facendo quel pranzo sobrio, aveva confusamente percepito, in due o tre riprese, il balbettìo di Toussaints, che gli diceva: «C'è del trambusto, signore: si battono in Parigi.» Ma, assorto nella folla dei suoi calcoli interiori, non vi aveva badato; a dire la verità, non aveva neppur inteso.
      S'alzò e si mise a camminare dalla finestra alla porta e dalla porta alla finestra, sempre più rasserenato.
      Colla calma gli tornava in mente Cosette, la sua unica preoccupazione.
      Non già ch'egli si commovesse per quell'emicrania, piccola crisi di nervi, broncio di giovinetta, nube d'un momento, che non avrebbe lasciato alcuna traccia fra un giorno o due; ma stava pensando all'avvenire, e, come al solito, vi pensava con dolcezza. Dopo tutto, non vedeva alcun ostacolo a che la vita felice riprendesse il suo corso. Se in certe ore tutto sembra impossibile, tutto sembra agevole in certe altre; e Jean Valjean era in una di quelle ore buone, che seguono di solito le cattive, come il giorno succede alla notte, per quella legge di successione e di contralto che forma il fondo stesso della natura e che gli uomini superficiali chiamano antitesi. In quella pacifica via in cui s'era rifugiato, Valjean andava liberandosi di tutto ciò che l'aveva turbato da qualche tempo; e per il fatto stesso che aveva visto tanto nero, incominciava a scorgere un po' d'azzurro.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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