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      È una fortuna che Grantaire dorma; se fosse sveglio, si stenterebbe a salvare quelle bottiglie.» Enjolras, malgrado le mormorazioni, mise il veto sulle quindici bottiglie e, affinché nessuno le toccasse e fossero come sacre, le fece porre sotto la tavola su cui giaceva papà Mabeuf.
      Verso le due del mattino, gli insorti si contarono. Erano ancora trentasette.
      L'alba incominciava a comparire e la torcia, ricollocata nel suo alveolo di pietre, era spenta. L'interno della barricata, una specie di cortiletto nella via, immersa nel buio, somigliava, attraverso l'incerto orrore crepuscolare, al ponte d'una nave disalberata: i combattenti che andavano e venivano si muovevano come forme nere. Al disopra di quello spaventoso nido di tenebre, s'abbozzavano lividamente i piani delle case mute: in alto, i camini si sbiancavano. Il cielo aveva quella deliziosa sfumatura indecisa, fra il bianco e il celeste, e alcuni uccelli volavano fra gridi di felicità; la casa alta che formava lo sfondo della barricata, volta verso oriente, aveva sul tetto un riflesso roseo. Alla finestrina del terzo piano, il vento del mattino agitava i capelli grigi sulla testa del morto.
      «Sono contento che abbiano spenta la torcia,» diceva Courfeyrac a Feuilly. «Questa torcia agitata dal vento m'infastidiva: pareva avesse paura. La luce delle torce assomiglia alla saggezza dei vigliacchi: rischiara male, perché trema.»
      L'alba risveglia le menti, come fossero uccelli; tutti discorrevano.
      Joly, vedendo un gatto che vagabondava sopra una grondaia, ne traeva un po' di filosofia.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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