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      Cent'anni or sono, mentre ne usciva il pugnalatore notturno, vi si rifugiava il tagliaborse in pericolo: se il bosco aveva la caverna, Parigi aveva la fogna. L'accattonaggio, picareria gallica, accettava la chiavica come succursale della Corte dei Miracoli, e di sera, sorniona e feroce, rientrava sotto il vomitorio Maubuée come in un'alcova.
      Era semplicissimo, del resto, che coloro i quali avevano per luogo di lavoro quotidiano il vicolo Vide Gousset o la via degli Scannatori avessero per domicilio l'imbocco del Chemin Vert o la botola Hurepoiz. Ne deriva un formicolio di ricordi. Ogni sorta di fantasmi frequentan quei lunghi condotti solitarî; dappertutto il putridume e il miasma e, qui e là, uno spiraglio, dall'interno del quale Villon conversa con Rabelais, che sta fuori.
      La fogna, nella vecchia Parigi, è il luogo di ritrovo di tutte le evacuazioni e di tutti i tentativi; l'economia politica scorge in essa una concrezione di rifiuti, la filosofia sociale vi scorge un residuo.
      La fogna è la coscienza della città. Tutto vi converge, tutto vi si mette a confronto; è buio in quel livido luogo, ma non vi sono più segreti. Ogni cosa ha la sua forma vera, o almeno definitiva, poiché il mucchio di spazzature ha in suo favore di non esser bugiardo. Là s'è rifugiata l'ingenuità. Vi si trova la maschera di Basilio, ma se ne vedono il cartone e le cordicelle, l'interno come l'esterno, mentre un fango onesto le dà risalto; e il finto naso di Scapino le fa compagnia. Tutte le lordure della civiltà, una volta fuori uso, cadono in questa fossa di verità alla quale mette capo l'immenso sdrucciolìo sociale, e, pur inghiottite, si mettono in mostra.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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