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      Era uno dei punti più solitari di Parigi, la riva che fronteggia la località detta del Gros-Coillons. Le mosche entravano ed uscivano, attraverso le sbarre dell'inferriata.
      Potevano essere le otto e mezzo di sera, e il giorno declinava.
      Jean Valjean si diresse all'inferriata e ghermì coi pugni le sbarre: la scossa fu frenetica, ma non spostò nulla. Il cancello non si mosse. Valjean afferrò le sbarre una dopo l'altra, sperando di poter strappare la meno solida di esse e di farsene una leva, per sollevare la porta o per rompere la serratura: nessuna sbarra si mosse. I denti d'una tigre non sono più solidi nei loro alveoli. Niente leva, e, quindi, nessun scardinamento possibile. L'ostacolo era invincibile: non v'era alcun mezzo d'aprire la porta. Doveva forse finire lì? Che fare? Come cavarsela? Ritornare sui suoi passi, ricominciare lo spaventoso tragitto già percorso? Non ne aveva più la forza; e del resto, come riattraversare quella frana, dalla quale era riuscito a togliersi per un miracolo? E dopo la frana, non v'era forse quella ronda della polizia alla quale, certo, non sarebbe sfuggito due volte? E poi, dove andare? Che direzione prendere? Seguire il pendio non significava affatto riuscire nello scopo; quand'anche fosse giunto ad un'altra uscita, l'avrebbe trovata ostruita da una botola o da un cancello, e tutte le uscite, indubbiamente, eran chiuse in quel modo. Il caso aveva divelta l'inferriata dalla quale erano entrati, ma evidentemente tutte le altre aperture della fogna eran chiuse.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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