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      Javert respinse il libretto che il vetturino gli porgeva.
      «Quanto ti è dovuto, comprese la sosta e la corsa?»
      «Sono sette ore e un quarto,» rispose il vetturino, «e il mio velluto era nuovo di zecca. Ottanta franchi, signor ispettore.»
      Javert si leṿ di tasca quattro napoleoni e congeḍ la carrozza.
      Valjean penṣ che fosse intenzione di Javert condurlo a piedi al posto dei Blanches Manteaux o a quello degli Archivi che sono vicini.
      Entrarono nella via che era, al solito, deserta. Javert seguiva Valjean; giunti al numero sette, Valjean busṣ, e la porta s'aperse.
      «Bene,» disse Javert. «Salite.»
      E aggiunse con un'espressione strana, come se facesse uno sforzo a parlare in quel modo:
      «V'aspetto qui.»
      Valjean guarḍ Javert. Quel modo di fare era poco nelle abitudini di Javert; eppure non poteva sorprenderlo molto il fatto che Javert avesse ormai in lui una specie d'altera fiducia, quella del gatto che accorda al sorcio una libertà della lunghezza della sua zampa, specialmente dal momento che Valjean era risoluto a consegnarsi ad a farla finita. Egli spinse la porta, entṛ in casa, griḍ al portinaio, ch'era a letto e aveva tirato il cordone: «Sono io!» e saĺ la scala.
      Giunto al primo piano, si ferṃ. Tutte le vie dolorose hanno le loro stazioni. La finestra del pianerottolo, dall'imposta che s'apriva dal basso in alto, era aperta. Come in molte case vecchie, la scala riceveva luce dalla via, da quella finestra; e il lampione della via, posto per l'appunto dirimpetto, illuminava un poco gli scalini, permettendo coś un'economia d'illuminazione.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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