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      Javert sentiva che qualche cosa d'orribile, ossia l'ammirazione per un condannato, stava penetrando in lui. È possibile il rispetto per un galeotto? Egli fremeva, ma non poteva sottrarsi; aveva un bel dibattersi, ma era costretto a confessare nel suo interno la sublimità di quel miserabile. Era odioso.
      Un malfattore benefico, un galeotto pieno di compassione, dolce, soccorrevole, clemente, che rendeva bene per male, preferiva la pietà alla vendetta ed aveva più caro di perdersi che di perdere il proprio nemico, che salvava chi l'aveva colpito, inginocchiato sulla vetta della virtù, più vicino all'angelo che all'uomo! Javert era costretto a confessare a se stesso che un tal mostro esisteva.
      La cosa non poteva durare.
      Certo, insistiamo, egli non s'era arreso senza resistenza a quel mostro, a quell'angelo infame, a quell'orrendo eroe, del quale s'indignava quasi altrettanto di quanto se ne stupiva. Venti volte, quand'era in quella carrozza a faccia a faccia con Jean Valjean, la tigre legale aveva ruggito in lui; e venti volte era stato tentato di gettarsi su Valjean, d'afferrarlo e divorarlo, cioè d'arrestarlo. Nulla di più semplice, infatti; sarebbe bastato gridare al primo corpo di guardia davanti al quale fossero passati: «Ecco un pregiudicato evaso dalla galera!» Sarebbe bastato chiamare i gendarmi e dir loro: «Quest'uomo è per voi,» e poi andarsene, lasciar là quel dannato, ignorare il resto e non immischiarsene più. Che di più giusto? Javert s'era detto tutto ciò; aveva anzi voluto far di più, agire e impadronirsi dell'uomo; ma allora, come ora, non aveva potuto.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





Jean Valjean Valjean