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      Per parlare a Jean Valjean, ritrovava inflessioni di voce del tempo in cui era fanciulletta; lo accarezzava coi sorrisi.
      Un banchetto era preparato nella sala da pranzo.
      Un'illuminazione a giorno completa ogni grande gioia. La nebbia e la oscurità non sono gradite a chi è felice che non sta volentieri al buio; la notte, passi: ma le tenebre no. Se il sole non v'è, bisogna farlo.
      La sala da pranzo era una fornace di cose gaie. Al centro, sopra la tavola candida e sfolgorante, un lampadario di Venezia a bracci piatti, con ogni specie d'uccelli colorati, celesti, viola, rossi, verdi, appollaiati in mezzo alle candele; intorno alcuni candelabri e sul muro altri a specchio, a tre ed a cinque bracci. Specchi, cristalli, cristallerie, stoviglie, porcellane, maioliche, ceramiche, oreficerie ed argenterie, tutto sfavillava giocondamente.
      I vuoti fra un candelabro e l'altro erano occupati da mazzi di fiori; di modo che, dove v'era un lume, v'era un fiore.
      In anticamera, tre violini ed un flauto suonavano in sordina quartetti d'Haydn.
      Valjean s'era seduto sopra una sedia del salotto, dietro la porta, il battente della quale quasi lo nascondeva. Pochi momenti prima di mettersi a tavola, Cosette andò, come per ghiribizzo, a fargli una riverenza, mettendo in mostra con ambo le mani la sua toeletta di sposa e, con uno sguardo teneramente birichino, gli chiese:
      «Siete contento, babbo?»
      «Sì,» disse Jean Valjean «sono contento.»
      «Ebbene, ridete, allora.»
      Jean Valjean si mise a ridere.
      Pochi minuti dopo, Basco annunciò che il pranzo era servito.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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