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      Cos'era mai il processo di Champmathieu, di fronte al matrimonio di Cosette ed a quel ch'esso recava seco? Cos'era il rientrare in galera, di fronte al rientrare nel nulla? Oh, primo scalino da scendere, come sei cupo! Come sei buio, secondo scalino!
      E come non volgere altrove il capo, stavolta?
      Il martirio è una sublimazione, che, però, corrode. È una tortura che consacra, e si può acconsentirvi per la prima ora. Si siede sul trono di ferro rovente, si mette sulla fronte la corona di ferro rovente, si accetta il globo di ferro rovente, si prende lo scettro di ferro rovente; ma rimane ancora da indossare il mantello di fiamme: e non può venire un momento in cui la carne miserabile si rivolti, si abdichi al supplizio?
      Finalmente, Jean Valjean entrò nella calma dell'accasciamento. Pesò, meditò, osservò le alternative della misteriosa bilancia di luce e d'ombra: imporre la propria galera a quei due giovani splendenti, o consumare da solo il proprio irrimediabile naufragio. Da un lato, il sacrificio di Cosette; dall'altro, il proprio.
      A quale soluzione si fermò? Quale determinazione prese? Quale fu, dentro di sé, la sua risposta definitiva all'incorruttibile interrogatorio della fatalità? Quale porta si decise ad aprire? Quale fu il lato della sua vita ch'egli risolvette di chiudere e di murare? Fra tutti quegli abissi non scandagliabili che lo circondavano, su quale cadde la sua scelta? Quale decisione estrema accettò? A quale di quei baratri accennò col capo?
      La sua meditazione sconvolgente durò tutta la notte.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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