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      Tacque ancora. Mario s'era alzato, sconvolto; Valjean riprese:
      «Che ne dite?»
      Il silenzio di Mario era una risposta. Valjean continuò:
      «Vedete bene che ho ragione di non tacere. Via, siate felici, siate in cielo, siate l'angelo di un angelo, siate nel sole e accontentatevene, senza starvi ad inquietare del modo con cui un povero dannato si squarcia il petto e fa il suo dovere. Voi avete di fronte un miserabile, signore.»
      Mario attraversò lentamente il salotto e, quando fu vicino a Jean Valjean, gli tese la mano; ma dovette egli stesso prendere quella mano che non si offriva. Valjean lasciò fare, ed a Mario parve di stringere una mano di marmo.
      «Mio nonno ha delle amicizie,» disse Mario. «Gli farò chiedere la grazia per voi.»
      «È inutile,» rispose Jean Valjean. «Mi si crede morto, e ciò basta. I morti non sono sottoposti a sorveglianza e hanno il permesso di marcire in pace; la morte è la stessa cosa della grazia.»
      E, liberando la mano che Mario stringeva, aggiunse con una specie di dignità inesorabile:
      «D'altronde, fare il mio dovere: ecco l'amico al quale ho ricorso. E solo una grazia mi occorre, quella della mia coscienza.»
      In quel momento, all'altra estremità del salotto, la porta si socchiuse appena e nell'apertura apparve la testa di Cosette. Si scorgeva solo il suo dolce viso; era mirabilmente spettinata e aveva le palpebre ancor gonfie di sonno. Fece il gesto d'un uccellino che sporga il capo dal nido, guardò prima il marito, poi Valjean e gridò loro ridendo, in modo che pareva di veder un sorriso in fondo ad una rosa:


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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