Il birbante straccione che capitava da lui depositava trenta soldi e sceglieva, secondo la parte che voleva rappresentare quel giorno, l'abito che gli conveniva; ridiscendendo la scala, quel birbante era qualcuno. Il giorno dopo, gli stracci venivan fedelmente riportati ed il Cambiatore, che affidava tutto ai ladri, non era mai derubato. Solo, quei vestiti avevano un inconveniente, quello di «non andare»; non essendo fatti per coloro che li portavano, erano attillati per il tale e svolazzanti per il tal altro, senza mai andar bene a nessuno. Qualunque tagliaborse che avesse oltrepassato la media umana in piccolezza o in grandezza, si trovava a disagio nei costumi del Cambiatore. Bisognava essere né troppo grasso né troppo magro, poiché il Cambiatore aveva previsto solo gli uomini ordinari ed aveva preso le misure di tutta la specie nella persona del primo pezzente capitato, che non era né grosso, né sottile, né grande, né piccolo. Ne derivavano adattamenti talvolta difficili, dai quali i clienti del Cambiatore se la cavavano come potevano: tanto peggio per le eccezioni! L'abito da uomo di stato, per esempio, nero dall'alto in basso e quindi adatto, sarebbe stato troppo ampio per Pitt e troppo stretto per Castelcicala. Quell'abbigliamento da uomo di stato era indicato come segue, nel catalogo del Cambiatore, dal quale lo copiamo: «Una giubba di panno nero, un paio di calzoni di lana forte, un panciotto di seta, scarpe e biancheria». In margine era scritto: Antico ambasciatore, e una nota che trascriviamo pure: «In una scatola separata, una parrucca convenientemente arricciata, un paio d'occhiali verdi, alcuni ciondoli e due tubetti di penna d'oca, d'un pollice di lunghezza, rivestiti d'ovatta». Tutto ciò apparteneva all'uomo di stato, antico ambasciatore.