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      Battuta che l'ebbe, si sente dire: Cosa comanda? - «Comando che n'i' mio palazzo sia apportato a i' momento i' mio povero padre.» - Apparisce i' suo povero padre, con una barba che gli arrivava a i' ginocchio, vecchio decrepito da i' dispiacere di aver perso tutti e tre i suoi figlioli. - «Signori, Maestà!» - si mette inginocchioni - «cosa comandano? Sono mezzo fori di me.» - «Poero vecchio!» - fa Antonio, - «n'avevi tre de' figli, eh? Come si chiamavano?» - «Uno Gigi, uno Francesco e uno Antonio.» - «E dovresti, buon vecchio, riconoscere vostro figlio Antonio. Lo riconosceresti?» - «Altro s'io lo riconoscerei! Nell'essendo n'i' podere tra di loro fratelli, facevano i' chiasso, cascò all'indietro e si fece una fitta nella testa sopra un sasso[7].» - Antonio che si leva i' cappello, gira la testa. I' padre: - «Se non credessi che voi fussi un Re, direi che voi fusse mio figlio Antonio.» - «Sì, carissimo padre, che io sono vostro figlio Antonio.» - Che benchè avessi quella barbona lunga che gli passava i' ginocchio, fa un salto, abbraccia i' padre e lo bacia. - «Dimmi un po', Antonio, e i tuoi fratelli?» - «Eh, carissimo padre, abbiate da sapere che questo ignorante di ortolano era un mago. Sapete? me li fece vedere tutti
      e due squartati n'i' mezzo.» - «Ah poeri miei figli! poeri miei figli e poeri miei figli!» - «Badate, carissimo mio padre, non esistono più a i' mondo i miei fratelli, ma neppure esiste più i' mago. Tanto ho fatto, che l'ho fatto morire. Alò[8], guardie, servitori e tutti, prendete i' mio poero padre, mettetelo in un bagno e lavatelo da capo a piedi e levatigli tutta quella barbaccia che lui ha davanti.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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