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      » - «Mettete in tavola!» - dice ai cuochi, alla servitù. Vanno in cucina e trovano peggio dell'altra sera: tutto cenere, acqua; un marume. - «Maestà» - dice - «abbiate la bontà di venir di qua da noi.» - «Ahn? forse ci sarebbe lo stesso tradimento?» - «Maestà, venite a vedere.» - «Ah traditori, ora poi conosco che siete voi davvero. Con le guardie doppie non è entrato qui nessuno.» - Questi urlavano appiedi: - «Maestà, salvateci! siamo innocenti.» - Maestà dice: - «Qui c'è qualcheduno che mi vole un male a questo punto! Alzatevi, io vi perdono. Andate almeno in cantina: questi signori scuseranno, e si contenteranno di rinfrescarsi.» - Vanno alla cantina, e se la prima sera gli veniva sin qui a mezza persona, questa poi non si poteva neppure entrare, si affogava dal lago. Maestà è costretto a dire a que' signori: - «Vengano a vedere la disgrazia che ho addosso. Non solo... ma che quest'astro maligno vi sia e di non lo potere scoprire!» - E quei signori ebbero a andare con le trombe nel sacco, come si suol dire, senza prender niente, quella seconda sera. - «Ma» - dice il Re - «domani sera ci sto in persona io.» - Vanno via. Venghiamo al Re che dà in un dirotto pianto. Piange sempre dicendo: - «Le mie povere bambine quanto mi voglion bene, e questi traditori quanto mi voglion male!» - Venghiamo alle ragazze. - «Oh!» - dice - «badate! Non ci sarà molto, che ora verrà Maestà. Procacciamo di non fare vistosità, sennò noi siam morte.» - E così dopo mezz'ora, ecco Maestà con le fila d'oro: non avea nemmanco fiato.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





Maestà Maestà