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      Dite la vostra, che ho detta la mia.
     
     
      NOTE
     
      [1] Variante della Fiaba precedente intitolata La Verdea. La debbo al prof. avv. Gherardo Nerucci che la raccolse da Silvia Vannucchi del Montale-Pistojese.
     
      [2] Il quale e la quale, pronomi, non sono di nessun dialetto toscano: (bene hanno essi la frase per la quale, ma vuol dire altra cosa). I Giorginiani, che vorrebbero ridurre la lingua allo stretto volgar di Firenze, ci priverebbero di questo pronome. Con quanto discapito, lascio dire a chiunque è costretto a far periodi un po' complicati dal tema che tratta, ne' quali non giunge a mettere un po' di chiarezza che alternando sapientemente che ed il quale nelle subordinate.
     
      [3] Un figlio di Re che non ride mai, malgrado ogni opera ed industria de' servitori, si trova nella Introduzione del Pentamerone e spesso nelle fiabe.
     
      [4] Come se le guardie l'avesser dovuta conoscere. Così raccontano a Napoli d'uno studente calabrese che si affacciò alla ferrata della posta, chiedendo se ci fosser lettere di suo padre. N'era giunta una con questo indirizzo: A mio figlio, vestito di nero, in Napoli. Gliela consegnarono senz'altro, stimando non senza ragione tal doppia prova d'insolita semplicità esser dimostrazione di parentela.
     
      [5] Gestri per gesti. Nota l'intercalamento di quella r eufonica. Invece, ne' dialetti napoletani, la si fogna in casi simili, dicendosi nuosto, masto, fenesta, per nostro, mastro, finestra. E così, dalle Alpi al Lilibeo, tutti i vernacoli fanno a gara straziando in mille varî modi il puro tipo aulico dei vocaboli: chi toglie, chi aggiunge, chi muta; chi amputa, chi gonfia, chi stravisa: accade delle parole quel che delle leggi nelle preture e nei tribunali; e quel ch'è peggio, anche in fatto di lingua abbiamo pluralità di cassazioni!


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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