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      Glielo levorno e gli diedono i' più bello che avessero nell'armadio. La menorono alla stanza dove avevano i quattrini e gli dissero: - «Prendi quello che ti fa piacere.» - E lei prese tre o quattro soldi poco boni. Gnene levorono e gli dierono dell'oro e dell'argento. La menorono alla cassetta delle gioie e gli dissono: - «Prendi i' pajo d'orecchini di tuo piacere.» - Lei prese un pajo tutti rotti. Gnene levorno e gli diedono un pajo di orecchini di brillanti. Gli dissero: - «Quando sarai sur i' ponte, vòltati indietro; sentirai un gallo cantare.» - Quando la fu sur i' ponte sentì un gallo cantare; lei si voltò indietro e gli venne una bella stella nella testa. Quando arrivò a casa, la sua madre gnene volea levare: con più[2] che col coltello la raschiava, credeva di levargnene e più bella diventava. La sua madre gelosa, che aveva avuta tanta roba, i' giorno dopo, per riportà' lo staccio, volse mandà' la sua figlia. Quando arrivò in fondo alle scale, picchiò. Le fate dissero: - «Chi è?» - «Amici.» - «Fate adagio, le scale sono di vetro.» - Con più che dicevano di fare adagio, e lei più forte faceva; che gli rompè tutte le scale. - «Pettinatemi. Che ci trovi in capo mio?» - «Zeccacce, pidocchiacce e brutte donnacce come siete vojaltre.» - «E zeccacce e pidocchiacce avrai.» - «Rifammi i' mio letto. Che ci trovi n'i' letto mio?» - «Pulci e cimici.» - «Pulci e cimici avrai.» - «Spazzami la mia casa. Che ci trovi in casa mia?» - «Sudiciume, spazzatura, porcherie, come siete vojaltre.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708