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      » - «Mamma» - dice la Prezzemolina - «hanno detto le fate che vo' vi ricordiate di quella cosa.» - Un giorno la donna era sopraffatta; torna la bambina e gli dice: - «Vi dicono le fate che vi ricordiate quella cosa.» - Risponde: - «Sì, dì che se la piglino.» - La bambina la va a scola. Dicono le fate: - «Cosa ti disse la mamma ieri sera? - «Mi disse che la possin prendere, che la prendino quella roba.» - «Oh vieni, sei te quella roba che si deve prendere.» - Urli senza fine, questa bambina: lo credo io! Lasciamo questa bambina e torniamo alla madre, che passan ore e non la vede tornare. La si ricorda d'aver detto che la prendino quella roba: - «Oh, mi son tradita! Ora addietro non si torna.» - Dunque queste fate le dicono alla bambina: - «Sai, Prezzemolina, la vedi questa stanza nera nera?» - le ci tenevano il carbone, la brace. - «Come si torna, la deve essere tutta bianca come il latte e dipinta con tutti gli uccelli dell'aria, altrimenti noi ti si mangia.» - Come volete che la facesse questa bambina? Le vanno via e la bambina si mette a piangere, piangi ch'io piango, singhiozzando; non si poteva chetare. Dunque l'è picchiato: lei va a vedere e crede che le sian le fate; apre e vede Memè, che gli era un cugino delle fate.[3] - «Che hai tu, Prezzemolina, che tu piangi?» - «Vo' piangereste anche voi» - dice. - «Vedete questa stanza? Quando le torna, le torna le mamme, di nera così dev'esser bianca e dipinta di tutti gli uccelli dell'aria, altrimenti le mi mangiano.» - «Se tu mi dài un bacio» - dice Memè, - «te la fo nel momento questa stanza.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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