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      La poveretta incominciò a tremare, tanto più che il bosco era di molto buio, che non ci si vedeva più. Allora si buttò in un cantuccio della carrozza e cominciò a piangere, e mandar urli, e chiamare il su' babbo. Centomogli stiede un pezzo zitto e finalmente gli disse in bona: - «Caterina, sta zitta. Tanto il tuo babbo è lontano, e non sentirebbe una cannonata. E, se tu gridi dell'altro, e' si rischia d'essere sentiti e presi dagli assassini, che sono in questo bosco.» - La Caterina si chetò a queste parole; ma la paura gli faceva battere i denti, che pareva che la battesse la terzana. Cammina, cammina, arrivò notte; e Centomogli disse alla sposa che c'era poco altro da correre, ma che bisognava scendere di carrozza per iscorgere la casa. La Caterina, la 'un si reggeva ritta, ma la si sforzò tanto, che in poco tempo tutt'e due arrivarono a un punto, da dove si vedeva un lumicino. - «Eccoci» - disse Centomogli. E la Caterina si sentì consolare. Quando furono vicini al chiarore del lume, che veniva da un finestrino, Centomogli picchiò a una porticina d'un gran castello tutto nero. E questa volta invece del gatto fu una cagna ad aprire. Anche lei, tutta riverenze, ricevè gli ordini del padrone. Cenarono, ma ancora Centomogli non diceva nulla alla povera Caterina. Passarono quattro giorni, senza che la Caterina avesse sentito la su' voce; andava a desinar con lui, a cena, a letto, ma lui sempre zitto; e lei la si disperava come un can perso. Alla fine dei quattro giorni, Centomogli disse alla Caterina: - «Domani parto; e sto fori un mese.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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