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      Non ho cor di punirlo,
      Perchè amico mi fu. Ma il perdonargliAltri potrebbe a questi
      Tradimenti animar. Tu che faresti?
      Timagene.
      Con un supplicio orrendoLo punirei.
      Alessandro.
      Ma l'amicizia offendo.
      Timagene.
      Ei primiero l'offese,
      E indegno di pietà costui si rese.
      Alessandro.
      (Qual fronte!)
      Timagene.
      Eh di clemenzaTempo non è. La cura
      Lascia a me di punirlo. Il zelo mioSaprà nuovi strumenti
      Trovar di crudeltà. L'empio m'addita,
      Palesa il traditor, scoprilo omai.
      Alessandro.
      Prendi, leggi quel foglio e lo saprai.
      Timagene.
      (Stelle! il mio foglio! Ah son perduto! AsbiteMancò di fè.)
      Alessandro.
      Tu impallidisci e tremi?
      Perchè taci così? Perchè lo sguardoFissi nel suol? Guardami, parla. E dove
      Andò quel zelo? È tempoDi porre in opra i tuoi consigli. Inventa
      Armi di crudeltà. Tu m'insegnasti,
      Che indegno di pietà colui si rese,
      Che mi tradì, che l'amicizia offese.
      Timagene.
      Ah signor, al tuo piè....
      Alessandro.
      Sorgi. Mi bastaPer ora il tuo rossor. Ti rassicura
      Nel mio perdono; e, conservando in menteDel fallo tuo la rimembranza amara,
      Ad esser fido un'altra volta impara.
     
      Anche nella Mortella (Basile. Pentamerone I, 2.) le colpevoli pronunziano con la propria bocca la condanna loro; e nel Burdilluni (Pitrè. Op. cit. LXI).]
     
     
     
      XXV.
     
      ORAGGIO E BIANCHINETTA[1]
     
      C'era una volta una signora, che aveva due figli: il maschio si chiamava Oraggio, la femmina Bianchinetta. Da ricchissimi, che erano, per alcune disgrazie divennero poveri. Fu deciso che Oraggio sarebbe andato a servire; come infatti s'impiegò in casa di un Principe come cameriere.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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