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      » - Passa quel primo giorno, passa quell'altro, oggi e domani, e leva leva leva ogni gran monte scema, rimase pulito di tutto, ogni cosa. - «Eh figlia mia» - ora a quella bona gli dice - «Mi tocca di andare a prendere un tozzo di pane: ora prenderò quella porta, ora quell'altra, tanto di potervi portare ogni giorno da sdigiunare a tutt'e tre.» - La mattina si alza, se ne va fori di una porta, cercando la limosina. Gli aveva un pezzo di pane, gli aveva il soldo, gli aveva la crazia[2]; e intanto giù di sù gli andava a provvedersi un pochino di vitto, per sè e per tutte e tre le figlie. La mattina dopo, prende da un'altra porta, e se ne va chiedendo la limosina in quel casamento, in quell'altro, in quella bottega, e giù per sù tira via e fa anche il suo fastello delle legna. Fatto anche il suo fastello, come dico, delle legna; fatto del pane e dei denari come lui aveva fatto; si ritrova in un bellissimo prato, che costì in cotesto bellissimo prato ci era piantato tutto cavol nero, ma bello. - «Cogliendone un torso,» - pensa lui, - «un torsolo quà, un torsolo là, nessuno se ne può avvedere. È meglio, che faccia il mio fastello anche del cavolo, giacchè non c'è nessuno.» - Comincia, come dico, un torsolo qua, un torsolo là, aveva fatto il suo fastello del cavolo. Si dà la combinazione, che nel mezzo del prato vede un bellissimo torsolo, di questa portata, ch'è quì: - «Oh bello! Sarei capace di coglierlo!» - dice. Ah! si mette lì nel mezzo, e si mette a dimenare in quà e in là questo torso del cavolo, sin tanto che lo tira fori.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708