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      » - «Portamene un altro, domani.» - Il caso di questo, gli è il caso di tutti quegli altri dieci. Si conduce il caro pescatore di portargli l'ultimo figlio, il minore, che lui aveva, dei dodici, che gli rincresceva e gli passava il core questo Leombruno, perchè gli voleva tanto e tanto bene. Va intorno a Leombruno il padre a piangere e sospirare. - «Cosa piange, signor padre?» - «Caro Leombruno, piango la tua disgrazia.» - «E che disgrazia è la mia?» - gli fa il figlio a il padre. - «La disgrazia è la tua di andare nelle mani di un serpente.» - «Cheh! caro signor padre, la disgrazia non è niente. Ci vengo, ci vengo volentieri.» - Ancora questo poero Leombruno. La mattina era allestito innanzi di quelli altri undici fratelli, Leombruno. - «Signor padre, quando si vol partire, sono all'ordine.» - «Eh, figlio mio, avete un gran coraggio!» - Prende il padre il figlio a braccetto e se ne vanno inverso la riva del mare. In quel mentre salta fori il serpente: - «Vieni, vieni, caro pescatore, con il tuo diletto figlio!» - «Gli mancò il fiato: in quel momento non sapeva più che rispondere, il padre. In quel mentre, che gli era per consegnarlo a il serpente, gli apparisce un'aquila, e che ti fa? te lo prende per il groppone di dietro e te lo porta in aria a Leombruno. Il padre rimane così in estasi, dispiacente che l'aquila gli aveva portato via il figlio[2]. Il serpente: - «Eh sei stato di parola; me li hai portati tutti e dodici; non ho niente a divider con teco. Te, getta pure le reti in mare; pescherai pesci quanti vuoi; e diventerai un gran ricchissimo pescatore.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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