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      Lesto, portatemi qualcos'altro.» - Gli portano altra roba, per potersi sostentare della mancanza, che lei aveva avuta. La mangia Leombruno. - «Dimmi, che siei tu esso, che siei qui da me? Fammi la carità, fammi il piacere, fatti vedere, se siei te!» - Va lui e si leva il mantello: - «Sì, sì, son quello io, mia carissima sposa!» - Lei, che te lo vede, te l'abbraccia e te lo bacia dalla consolazione. - «'Un sai, eh? caro Leombruno; come hai fatto a venire da me nelle mie braccia?» - E lui, gli racconta tutta la novella, che gli era incorsa per la strada, nel venire a salutare la sua legittima sposa. - «Mi hai tuvisto, carissima sposa, entrare nel tuo appartamento, accanto a te?» - «No.» - «Vedi, se non avessi avuto questo mantello, che è qui, sarei stato divorato dai leoni.» - «E quei leoni,» - la gli fa Madonna Chilina - «vedi, che ci è alla porta, ti saranno i tuoi fedeli, che ti salveranno dalla morte. Dico io una cosa: in quattr'e quattr'otto... Quanto tempo avrai perduto te, per fare la gita di venirmi a trovare me? E io ti dirò: in quattr'e quattr'otto voglio, che qui alla mia presenza appariscano il mio socero, la mia socera e tutt'e undici i miei cognati.» - E come di fatti, lei frega il suo anello a il muro. - «Comandi, signora.» - «Comando, che indispensabilmente, in questo momento, apparisca mio socero, mia socera e tutt'e undici i miei cognati nel mio appartamento.» - E Leombruno, che se li vede apparire: il padre, la madre e i fratelli. Il padre e la madre: - «Oh carissimo figlio!


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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