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      T'ha' ragione: i' bue son'io, ch'i' t'ho lascio fatti fa' e' patti da tene. A riedècci, sai!» - E se n'andiede, e i' granchio ghi scoppiaa da i' ridere. E si poe di' anco, ch'a i' lupo ghi 'ntraviense com'a l'aquila, cuando lo sgricciolo e' la disfidòe a chi volava più erto; perchène lo scriccolo e' ghi s'appiccicòe co' i' becco a una penna d'un'alia, che nun se n'addiede; e, cuando l'aquila disse: - «Sgricciolo, addove sie' tue?» - e lui, lesto dàe una volatina più 'n sue e po' piola: - «Deccomi quìe.» - E ghi messano allo sgricciolo i' soprannome di Re Cacca, perchène e' vincette l'aquila pe' la su' furbizia.
     
     
      NOTE
     
      [1] Apologo popolare, in vernacolo del Montale-Pistoiese, raccolto dall'avv. prof. Gherardo Nerucci.]
     
      [2] Nimo, nessuno. Vedi pag. 499.]
     
     
     
      L.
     
      I TRE AMICI.[1]
     
      Tre amici arrivarono una sera ad una piccola osteria di campagna e fecero una cena frugale. Poscia, prima di andare a letto, dissero all'oste, che la dimane, prima di ripartire, volevano far colezione. L'oste gli rispose, rincrescergli molto di doverli prevenire, che la cosa era impossibile; perchè, oltre quello che aveva loro dato, non gli avanzava in casa se non un quarto di tacchina, un piccolo panetto ed il vino, che vedevano, nella bottiglia, poco più di un bicchiere. Gli amici si trovarono male. Ma, decisi di consumare quel poco, che vi era, e se non tutti uno almeno mangiare, fissarono, che colui fra di essi, che nella nottata avesse fatto il sogno più bello o più brutto, avrebbe fatta colezione la dimane e gli altri sarebbero rimasti senza.


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La novellaja fiorentina
Fiabe e novelline
di Vittorio Imbriani
Editore Vigo Livorno
1877 pagine 708

   





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