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      Beati i mansueti. Forse i deboli? forse i vili? forse l'acquiescenza stupida che non ha idea propria, che si sottomette senza lotta al capriccio altrui? No. La mansuetudine non è sempre debolezza; è spesso anzi fortezza d'animo. Poichè costa più resistere ai puntigli, agli scatti di collera, alle tentazioni delle piccole o grandi vendette, all'arroganza di chi si sente forte del proprio diritto, all'asprezza di chi sa di potersi valere del comando, costa più resistere a questi impulsi e trasformarli in mansuetudine che seguirli. La mansuetudine è la soavità, è la grazia; è la compiacenza che si sacrifica sorridendo, è la goccia di miele che vince più della tazza d'aceto.
      Beati quelli che piangono. Beati? Ma il pianto significa dolore, cioè il nemico più accanito dell'umanità; il pianto significa sconfitta, significa angoscia, abbandono. Sì, ma il dolore è anche elevazione, luce, pentimento, purificazione, vittoria dell'anima sui sensi, rinnovellamento di coscienza e di vita. Sentire il dolore dei falli altrui, delle proprie e altrui sofferenze, è nobiltà, è penetrare nell'essenza di questa nostra vita fatta più per dolorare che per godere; è mettersi in grado, forse, di ottenere la consolazione, ch'è qualche cosa di più profondamente squisito e dolce della comune felicità. Beati, beati quelli che piangono e che saranno consolati!
      Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia. La giustizia è ordine e dovere; è la base della vita onesta e retta. Ordine per ciò che riguarda a noi medesimi, che non dobbiamo lasciarci trasportare dall'effervescenza dei cattivi istinti, nè dare al desiderio insaziato più di quanto è giusto che abbia: dovere per ciò che riguarda altrui, ossia rispetto alla proprietà, alla libertà degli altri, e la coscienza dell'obbligo di riparare per quanto sta in noi le crudeltà della natura e della sorte.


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Pagine mistiche
di Jolanda
Editore Cappelli
1919 pagine 168