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      Ma con ciò si suppone o si accetta, ma non si pone la pretesa legittimità evidente per sé dell'egoismo, come norma suprema di condotta, accanto o contro la legittimità del criterio opposto. Ed è sempre sottinteso il presupposto arbitrario che vi sia un criterio di valutazione il quale è per sua natura conforme alla ragione, di fronte ad altri criteri contrari. Mentre contrario alla ragione non è né l'uno né l'altro criterio per sé. Ma è soltanto la pretesa di accettare un certo criterio e insieme non accettarlo, di ammetterlo come norma di condotta e non applicarlo.
      CAPITOLO QUARTOLA RICERCA DEL FINE SUPREMO
     
      Con ciò la tesi egoistica cerca di porsi su quella medesima via che è nella tradizione dei sistemi e delle scuole la via piú comune del razionalismo morale, ed è in effetto la piú semplice, si direbbe quasi la piú ovvia ed ingenua: quella notissima di ricondurre le norme a un bene, a un fine, a un ideale, di cui si è riconosciuto o si debba riconoscere incontestabile il valore supremo.
      Qui ciò che fa da principio della dimostrazione da «assioma medio» o proprio della costruzione morale, è il giudizio in cui si assume questo valore e questa dignità suprema del fine. Posto che il fine assunto sia il fine che l'uomo riconosce come supremo e che si dimostri come le norme morali siano ordinate ad esso, la loro legittimità è dimostrata.
      Quale sia questo fine e in che consista spetta alla ragione di trovare o di giudicare; di trovare e formulare, se questo fine supremo è dato e si assume come riconosciuta e incontestata la sua validità di supremo; - di giudicare, se su questo valore cade dubbio, o se si pensa che non basti un riconoscimento di fatto, ma sia necessario un riconoscimento di diritto; che spetti alla ragione, non già o non soltanto di scoprire, se vi è, un tal fine, ma di giudicare perché esso debba valere.


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I limiti del razionalismo etico
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
pagine 59