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      II. O si può pensare che occorre bensì un contenuto che si adatti a quella forma, che sia suscettivo di assumerla o di esserne investito; ma non importa che esso sia tale piuttosto che diverso. Insomma: è necessario un contenuto, ma è indifferente quale esso sia, purché possa essere contenuto di quella forma. Non è perciò escluso a priori che possano essere piú, fra di loro diversi.
      III. Si può pensare che la forma razionale, la forma della legge morale conviene a un solo contenuto, quel contenuto che si concreta appunto in relazione con quella forma. Ossia, che l'esigenza razionale basti a determinare univocamente il contenuto della legge(18).
      La prima interpretazione che sembra la piú semplice e sulla quale s'è fatto un gran discutere, è insostenibile, perché si risolve in un circolo vizioso, dal quale non è possibile uscire in nessun modo.
      Quella stessa illustrazione kantiana che sembra legittimarla mette capo a una formula, che fu bensì intesa spesso e trattata come puro criterio dell'universalità sic et simpliciter (la possibilità di concepire la massima come legge universale dell'operare), ma che, nei termini precisi in cui è espressa, implica di necessità il riferimento a un qualche contenuto senza del quale mancherebbe ogni possibilità di adoperarla come norma di quell'operare del quale vuole esprimere l'obbligatorietà.
      Secondo quella formula, il criterio per giudicare della bontà della massima è che io possa volere che valga come legge universale. Ma io posso volere che una massima valga universalmente, soltanto quando, o meglio, se, la massima cosí universalizzata non contraddice al mio Volere puro, alla Ragione, cioè (che è tutt'uno) al Volere morale; alla legge, dunque, che fa morale il mio volere; il che viene a dire che una massima è morale quando è conforme alla legge del volere morale, ossia quando è conforme alla legge morale.


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I limiti del razionalismo etico
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
pagine 59

   





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