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      Per uscire davvero dalla forma e da questo circolo vizioso di un mondo di cui non si sa altro se non che è governato dalla legge morale, e di una legge morale che ha valore perché è la legge di quel mondo, bisogna dunque attenersi alla seconda tesi; la quale, come pensa il Martinetti, e come io credo, risponde veramente al pensiero di Kant, se non come si mostra punto per punto nelle strettoie della sua esposizione, come risponde all'intento fondamentale che anima la sua dottrina del primato della ragione pratica e piú chiaramente ancora al proposito esplicitamente ammesso da lui nella prefazione alla seconda edizione della Critica della Ragion pura(22).
      In realtà «l'uso pratico» della ragione consiste nello spalancare all'esigenza morale quelle porte della metafisica che sono chiuse alla speculazione teoretica; nel lasciar libero alla fede il campo del soprasensibile vietato alla conoscenza; nell'ammettere, se vogliamo usare espressioni correnti, piú che il diritto la necessità di credere, la necessità «razionale» di ammettere quel che la ragione, in quanto è garanzia di certezza teoretica, non può né dimostrare né affermare; di oltrepassare - per rendersi conto della possibilità del dovere - il campo dell'esperienza sensibile e postulare l'esistenza di una realtà che trascende l'esperienza.
      Ma questo ufficio pratico sarebbe senza frutto(23), se una certezza diversa dalla scientifica, ma non minore, non potesse valicare quelle porte del soprasensibile che la ragione apre soltanto all'esigenza morale, ma apre per lei e in nome suo.


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I limiti del razionalismo etico
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
pagine 59

   





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