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      La discussione se il giusto sia tale perché voluto da Dio, o sia voluto da Dio perché è giusto, ossia se il fondamento della morale sia riposto in Dio in quanto è Bene, o in quanto è Volontà, mostra in ultimo che nessuno dei due principi può ricavarsi dall'altro, mentre attesta nello stesso tempo lo sforzo sempre ricorrente della identificazione.
     
     
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      E veniamo alla unificazione dal punto di vista subbiettivo. Anche qui la riduzione può essere cercata in due modi, l'uno inverso all'altro.
      Il primo ricava la giustizia dall'obbligo: "Sentirci obbligati vuol dire riconoscere giusto ciò a cui ci sentiamo obbligati".
      Ora la giustizia non è data nell'obbligo, ma nell'approvazione razionale dell'obbligo; nel fatto che troviamo giusto che l'obbligo ci sia, cioè vorremmo che ci fosse, anche se mancasse in realtà. Quindi ciò da cui si ricava il riconoscimento della giustizia non è l'obbligo che c'è, ma l'obbligo che ci deve essere, l'obbligo che la coscienza vuole che ci sia; ossia è l'esigenza interna dell'obbligo.
      Ma questa, come s'è detto, non riflette in sé soltanto l'esigenza che la norma sia obbligatoria, ma altresí l'esigenza che la norma sia giusta, e non sussisterebbe nella forma caratteristica che implica la giustizia, se non si postulasse già questo per l'appunto: che una norma per essere veramente cioè internamente obbligatoria deve anche essere giusta. Ma ciò vuol dire che si distingue un'obbligazione giusta da un'obbligazione che può non essere giusta; e quindi che dal dato dell'obbligazione per sé non si può ricavare la giustizia.


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Prolegomeni a una morale distinta dalla metafisica
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
pagine 61

   





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