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      Rimane la derivazione inversa. Il precetto morale è obbligatorio perché è giusto: "Riconoscere giusta una norma importa sentirsi obbligati ad osservarla".
      Ma ciò che quel riconoscimento dà, è, come s'è visto, il desiderio che la norma sia osservata, e quindi è l'approvazione dell'obbligo se e perché l'obbligo è concepito come una condizione necessaria di quell'osservanza; non è l'approvazione dell'obbligo come tale, perché obbligo; e tanto meno è la coscienza stessa dell'obbligazione effettiva. È la ragione, direi, che approva il tono imperativo della coscienza, perché nella voce che comanda sente o crede di sentire ciò che ha riconosciuto o viene riconoscendo come giusto; e quel tono imperativo è attribuito alla giustizia, perché è la voluta osservanza della giustizia che ne fa sorgere l'invocazione. Ma in primo luogo questa invocazione esprime bensí un bisogno, o un conato, ma non è perciò l'oggetto del bisogno, come il desiderio non è la creazione o la posizione in atto di ciò che si desidera. In secondo luogo vale qui la considerazione fatta nel caso precedente, ma nel senso inverso. Quella stessa esigenza dell'obbligo non esprime soltanto il riconoscimento della giustizia ma esprime la volontà dell'osservanza. Onde l'obbligatorietà effettiva della norma è in realtà ricavata dalla esigenza che la norma sia obbligatoria. Ma con ciò si ammette la possibilità di riconoscere come giusta una norma anche se non è in effetto obbligatoria, ossia si ammette che dal riconoscimento della giustizia non si può ricavare l'obbligazione.


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Prolegomeni a una morale distinta dalla metafisica
di Erminio Juvalta
Einaudi Editore Torino
pagine 61